Nelle note precedenti in questo blog abbiamo chiarito che, in funzione della quantità in gioco nel mezzo (vino), vengono percepite note olfattive estremamente diverse e diversificate, con caratteristiche positive o negative che comunque contribuiscono in maniera determinante alla tipicizzazione organolettica e sensoriale di diversi vini.
Ma se termini quali ad esempio “cavolo”, “uova marcie”, “patata cruda” e altri ancora, siano tutto sommato universalmente definiti e accettati dalla comunità, anche perché fanno riferimento a note sensoriali di uso quotidiano, altri riferimenti organolettici appaiono più complessi, contradditori, poco oggettivabili, in parte indeterminati e per questo motivo oggetto di molte recenti ricerche.
Un caso emblematico in questo senso è il termine “minerale”, sconosciuto, o quasi, fino a pochi anni fa, ma attualmente assunto a carattere inprescindibile per un vino di qualità, utilizzato a piene mani nella comunicazione e marketing tanto da far dipendere dalla presenza o meno (anche virtuale) di tale fattore la qualità commerciale di un vino.
Anche se il benzil-mercaptano (Pasquier, 2013) è stato indicato quale molecola importante nella definizione della nota minerale, è pur vero che una definizione accettata di “mineralità” non esiste ancora, ed anzi il mondo scientifico è diviso se si tratti di una nota olfattiva o gustativa (Ugliano, 2014). Un recente ed interessante studio (Ballester et al., 2013) si è posto l’obiettivo di meglio comprendere come i cosiddetti esperti concepiscano il concetto di “mineralità” e se vi sia consensualità e oggettività) nel suo giudizio. Il metodo di degustazione ha previsto un test di ordinamento di campioni valutati sia per via nasale diretta che per via restronasale. I risultati hanno messo drammaticamente in evidenza che i degustatori esperti hanno manifestato forte disaccordo in entrambe le condizioni di valutazione: in entrambi i test proposti, si sono creati tre gruppi, ciascuno dei quali considerava minerale vini con caratteristiche completamente diverse tra loro, tanto da non poter permettere alcuna generalizzazione (univoca ed oggettiva) sul significato sensoriale. Al contrario, le risposte date dagli stessi degustatori al questionario che chiedeva loro di descrivere il significato di “mineralità” presentavano elementi comuni, a ulteriore conferma della idiosincrazia nell’utilizzo di questo termine e di conseguente (pericolosa) mancanza di omogeneità di termini nel descrivere la qualità di un vino.
Alla luce di quanto visto non si può che essere concordi con Scienza (Guzzon, 2014) quando afferma: Perché l’attributo mineralità ha così successo nella comunicazione? Forse perché richiama un rapporto quasi fisico con un luogo, soddisfa quella ricerca delle origini, la nostalgia dei ricordi giovanili…La percezione della mineralità allora non è il riflesso imperfetto di un suolo ma una rappresentazione mentale che designa con un sostantivo, un forte potere evocativo.
Situazioni comunque già viste in anni passati, quando, a titolo di esempio, per un certo periodo vini rossi affetti in modo drammatico da problematiche collegate ad alterazioni da Brettanomyces, con note sgradevoli di “animale” o “sudore di cavallo”, sono stati contrabbandati per tipici del territorio di origine.