E’ infatti ormai opinione diffusa (Gerowitt et al,. 2003), la biocenosi vigneto non vada più considerato come una “colonizzazione” agronomica di una determinata nicchia ecologica da parte di una o poche specie coltivate, ma debba essere considerato come un ecosistema in cui l’uomo, ponendosi in modo più o meno equilibrato,determina la sostenibilità a lungo termine di questo sistema ecologico antropizzato.
Purtroppo si è assistito da diversi decenni ad una marcata contrazione della diversità delle associazioni floristiche presenti negli agroecosistemi di varie parti del mondo (Mahn, 1984) tanto che il monitoraggio della dinamica di diversificazione o contrazione biologica rappresenta un innovativo settore di ricerca agro-ecologica (Benvenuti et al., 2004; Trivellone et al., 2017).
Un ecosistema caratterizzato da un’elevata biodiversità è un ecosistema biologicamente ricco, stabile, produttivo e soprattutto sostenibile dal punto di vista agronomico nel tempo.
D’altra parte solo una parte della fitocenosi avventizia risulta in grado di comportare consistenti danni agronomici in termini di calo di resa in quanto non tutte hanno una competitività tale da creare particolari problemi nelle interazioni coltura infestante. Queste specie vengono chiamate segetali dagli agronomi e antropofite dai botanici in quanto la loro diffusione risulta fortemente associata con la presenza dei disturbi agronomici in quanto particolarmente coevolutesi proprio per sfuggire a tali disturbi; molte altre specie, diffuse sia in ecosistemi naturali che antropizzati, al contrario sono di scarsa nocività agronomica in quanto poco competitive la cui utilità è stata da sempre sottovalutata in quanto considerate unicamente infestanti.
Ne consegue come l’indesiderabilità di molte specie debba essere riesaminata sotto nuovi profili agro-ecologici in quanto spesso è proprio questa presenza che tende a contrastare e rendere meno aggressiva la flora più dannosa: in altre parole la biodiversità dell’agroecosistema vigneto deve essere non solamente accettata ma anche e soprattutto coltivata in quanto in grado di apportare numerosi ed importanti benefici alla resilienza ambientale della biocenosi (Colugnati&Cattarossi, 2018).