I vini Sauvignon presentano un ampio e diversificato spettro di note distintive che spaziano dalle note vegetali quali peperone verde, timo, salvia, foglia di pomodoro, fagiolini e asparago, ai sentori floreali riferibili a ginestra, eucalipto, gemma di cassis, a note tropicali quali pompelmo, ananas, frutto della passione; dopo un periodo di elevazione in bottiglia si possono sviluppare sensazioni minerali del tipo pietra focaia (pierre-a-fusil), affumicato e tartufo.
Gli enologi sanno troppo bene che estrarre prima, e mantenere poi, questo complesso di sostanze volatili è questione piuttosto complicata e da tempo nei terroirs più importanti e vocati per la coltivazione di questo vitigno (Friuli e Trentino-Alto Adige nel nord-est italiano, Loira e Sancerre in Francia, Marlborough in Nuova Zelanda) sono stati testati e validati diversi protocolli vitivinicoli finalizzati alla esaltazione del patrimonio aromatico.
La sintesi dei composti tiolici infatti risulta molto sensibile alle caratteristiche del territorio di origine e la loro liberazione appare fortemente condizionata da eventuali residui di trattamenti antiparassitari (segnatamente rame), da possibili ossidazioni e dal ceppo di lievito che conduce la fermentazione alcolica. La difesa degli aromi tiolici attraverso una corretta strategia antiperonosporica, la protezione del mosto da possibili fenomeni ossidativi e l’impiego come agente di fermentazione di un ceppo di lievito in grado di idrolizzare le forme cisteinil-derivate e di liberare i tioli volatili consente di ottenere vini con forti legami con il territorio e caratteristiche di tipicità varietale.
Materiale genetico, gestione della chioma estiva, tecniche agronomiche, maturazione del grappolo, capacità predittiva della migliore epoca vendemmiale, condizione di estrazione del succo, ceppo del lievito per la fermentazione, metodi di affinamento sono tutti fattori che possono influenzare in modo determinante l’espressione aromatica.
Generalmente i composti solforati, presenti nel vino a bassissime concentrazioni, sono responsabili di note olfattive genericamente sgradevoli e sono dotati di soglie olfattive estremamente basse: sulla base della loro struttura chimica vengono classificati in sulfidi, polisulfidi, composti eterociclici, tioesteri e tioli. Dagli anni novanta in poi diversi studi su Sauvignon blanc, e successivamente su altri vitigni, hanno consentito di isolare molti composti solforati appartenenti alla classe dei mercaptani (tioli e tioesteri) con un decisivo ruolo nella caratterizzazione aromatica.
Principali composti tiolici implicati nel patrimonio aromatico del Sauvignon blanc.
Composto | Soglia di percezione
(µg/l) |
Descrittori |
4-MMP
4-mercapto-4-metil-pentan-2-one |
0.8 | bosso |
3-MHA
3-mercapto-esan-1-olo acetato |
4.2 | bosso, frutto della passione |
3-MH
3-mercaptoesan-1 olo |
6.0 | pompelmo, frutto della passione |
4-MMPOH
4-mercapto-4-metil-pentan-2-olo |
55 | scorza di limone |
3-MMB
3-mercapto-3-metil-butan-1-olo |
1500 | verdure cotte |
benzenmetantiolo | 0.3 | pietra focaia |
Altre ricerche di carattere sensoriale hanno consentito di chiarire il loro fortissimo impatto sull’aroma del vino segnalando soglie di percezione fino a 0.8 µg/l nel caso del 4-mercapto-4-metilpentan-2-one (Bouchilloux et al., 1996) isolato anche in vini Cabernet Sauvignon, Petit Manseng, Gewurtztraminer, Semillon, Riesling, Merlot e Colombard.
Anche se molto importanti nella definizione del carattere varietale del Sauvignon, tali composti solforati non sono mai stati trovati nel mosto d’uva: infatti il 4-mercapto-4-metilpentan-2-one è presente nell’uva in forma legata ad un precursore non volatile e inodore, il 4-(4-metilpentan-2-one)-L-cisteina (Tominaga et al., 1995), per poi essere liberato nel corso della fermentazione alcolica mediante l’attività enzimatica di alcuni lieviti specifici (Tominaga et al., 1996).
Ulteriori ricerche hanno consentito di chiarire la presenza di questi composti solforati in vegetali oppure frutta il cui odore ricorda quello del Sauvignon blanc.
Il 4MMP è presente nel bosso, nella ginestra e nella foglia dell’eucalipto: la scelta di questi termini nella descrizione della nota più vegetale del vitigno quindi ha una corrispondenza chimica. Così pure il 3MH, in ragione di 1ng/g di peso fresco, è stato isolato in piccioli di rabarbaro, nella foglia del pomodoro e in alcuni frutti quali il pompelmo (Dubordieu, 2004): il riferimento quindi a differenti frutti nella descrizione dell’aroma Sauvignon non si basa solamente su una analogia olfattiva ma sul fatto che le stesse molecole contribuiscono agli odori descritti.
Come ricordato, praticamente impercettibile nei mosti non fermentati, l’aroma del Sauvignon si sviluppa essenzialmente nel corso della FA a partire da precursori inodore: questo fenomeno è ben noto ai produttori. Durante la fermentazione si assiste ad un incremento importante dell’aroma, con l’incremento in tenore di 4MMP, 4MMPOH e 3MH.
In una certa misura è possibile apprezzare il potenziale aromatico del Sauvignon degustando l’uva oppure il mosto; mentre l’aroma percepito inizialmente in bocca risulta moderato o anche scarso, trenta secondi dopo aver deglutito si avverte bruscamente, per via retronasale, un ritorno aromatico del vitigno, talvolta molto intenso. Tale sensazione di ritorno è peculiare del Sauvignon e corrisponde ad una reazione enzimatica che avviene in bocca a carico degli enzimi della mucosa orale che porta alla liberazione degli aromi in forma attiva. Sulla base di queste evidenze sperimentali, alcune viticolture dei Paesi caldo-aridi (Australia, Sud Africa, Nuova Zelanda) hanno introdotto da tempo protocolli tecnologici che implicano la degustazione dell’acino, con finalità predittive dell’ipotetica data di vendemmia e della potenzialità aromatica del mosto.
Altre ricerche hanno permesso di chiarire la distribuzione dei precursori in polpa, buccia e vinaccioli: il 4-MMP ed il suo alcol sono concentrati per circa il 20% nella buccia e l’80% nella polpa, mentre nel caso del 3-MH la distribuzione è sostanzialmente equamente divisa tra buccia e polpa.
Durante la fermentazione si assiste ad una progressiva degradazione del precursore alla quale corrisponde un aumento della molecola odorosa libera: generalmente questa trasformazione ha una resa molto bassa, mediamente tra 1 e 4%.
I precursori vengono trasportati dentro la cellula del lievito dove subiscono una parziale trasformazione in tioli grazie ad una reazione di α-β liberazione (reazione della β-liasi), quindi vengono escreti dalla cellula e divengono sensorialmente attivi.
I fattori che vanno ad influire questo processo sono certamente il ceppo di lievito e la composizione del mosto: bisogna infatti ricordare che i tioli sono ossidabili in disolfuri, possono facilmente combinarsi con il rame e sono particolarmente reattivi con i chinoni che si formano per ossidazione dei composti fenolici.