Manuale di Enologia

Acido malico, la fermentazione malo-alcolica e malo lattica

L’acido malico è un acido bicarbossilico presente nell’uva sottoforma di acido L-malico. Insieme all’acido tartarico costituisce uno degli acidi a più forza acida, seppure inferiore a questo. Inoltre ha proprietà chelanti nei confronti del rame e del ferro, tant’è che con la sua diminuzione o scomparsa si ottiene un incremento di questi metalli, i quali sono responsabili di intorbidamenti nel vino e di reazioni ossidative. Il suo valore oscilla da 6,3 a 2 g. per litro e, in taluni casi, risulta sensibilmente inferiore al valore minimo indicato. Esso nell’uva è presente in misura alta prima dell’invaiatura, per poi diminuire man mano si giunge alla maturazione della stessa. L’evoluzione del suo contenuto è influenzata dai fattori climatici e si diversifica a seconda della cultivar. Sia i batteri e sia i lieviti sono responsabili delle trasformazioni a cui va incontro l’acido malico durante la vinificazione. Nel corso della fermentazione alcolica, una parte di questo acido viene metabolizzato dai lieviti sino, in alcuni casi, ad oltre il 40 % del suo contenuto, venendo trasformato da un enzima malico in acido piruvico e dopo in alcol e anidride carbonica. Alcuni studi hanno dimostrato che la degradazione dell’acido malico è in funzione lineare con la fermentazione alcolica. Quindi un eventuale arricchimento del mosto con tale acido può determinare una sua maggiore degradazione ad opera dei saccaromiceti. Inoltre tali fenomeni sono collegati al contenuto di un buon numero di lieviti, e quindi la degradazione dell’acido malico è favorita dall’aerazione. La fermentazione maloalcolica La fermentazione maloalcolica è favorita dalla concentrazione degli zuccheri, dall’aerazione e dalla temperatura in cui si svolge la fermentazione. I lieviti che di più riescono a degradare l’acido malico, sono il S.cerevisiae r.f. bayanus e la r.f. prostoserdovii (lieviti flor). Il primo riesce a consumare circa il 64 % di acido malico, mentre il secondo arriva al 45 % circa, soprattutto nel momento del passaggio dalla fase profonda a quella superficiale, così come avviene in alcuni vini da invecchiamento come gli Sherry, la Vernaccia e la Malvasia di Bosa. Alcuni lieviti come gli Schizosaccharomyces pombe possono demolire sino al 90 % di acido malico, con l’incremento del grado alcolico sino a 0,23 °, secondo la seguente reazione: COOH-CH2-CHOH-COOH (Acido malico)  CH3-CO-COOH + CO2  CH3-CHO (Acetaldeide) + CO2  CH3-CH2OH (Alcool Etilico) Purtroppo nonostante vengano prodotte basse quantità di acido acetico, questi lieviti provocano la formazione di acetoino da cui si formano degli esteri acetici come l’acetato d’etile, costituendo dei vini con il caratteristico odore pungente e acetonico. Nella fermentazione maloalcolica l’acido malico viene demolito quasi del tutto, e quindi si assiste alla scomparsa di un acido importante per l’acidità del vino. In tal caso l’acidità del vino è data solo dall’acido tartarico, il che determina il peggioramento delle caratteristiche organolettiche. Inoltre risulta diminuito il potere tampone per la scomparsa di un acido che riveste un ruolo importante nel determinare la forza acida del vino, che così al gusto diventa molto labile a causa della diminuzione della sensazione acida. Pertanto l’avvio di tale fermentazione deve essere attentamente valutato, nonostante possa rappresentare una tecnica valida per la disacidificazione biologica del vino. Questa fermentazione conduce alla trasformazione dell’acido malico in acido lattico, ed è operata dai batteri lattici, secondo la seguente equazione: COOH-CHOH-CH2-COOH  COOH-CHOH-CH3 + CO2 Nel vino quindi compare un acido, quello lattico, che possiede una minore forza acida rispetto al malico, cosicché al gusto il vino risulta ammorbidito e più apprezzato. Più che una vera e propria fermentazione è corretto parlare di un processo endotermico. Infatti con la decarbossilazione dell’acido malico non avviene un rilascio di energia tale da nutrire i microorganismi responsabili della modificazione, i quali la traggono dai glucidi presenti nel mezzo. Il numero dei batteri necessario per operare la trasformazione risulta basso, bastando 10 mg. degli stessi per ottenere la degradazione di 1 g. di acido malico. I batteri malolattici sono asporigeni, gram-positivi, microaerofili e producono acido lattico dal glucosio. Per vivere essi debbono contrastare un ambiente difficile qual’è il vino e cioè di resistere ad una acidità elevata, all’ SO2 ed all’ alcool. Essi si distinguono, come già detto, in omo ed etero fermentanti. Gli omofermentanti originano l’acido lattico esclusivamente dal glucosio; mentre gli eterofermentanti oltre a produrre acido lattico danno anche alcol etilico, anidride carbonica e acido acetico. I batteri lattici di una certa importanza in enologia appartengono ai generi: Leuconostoc, Lactobacillus e Pediococcus. I Leuconostoc sono eterofermentanti e sono le specie più diffuse e usate in enologia, soprattutto quelli eonos, che costituiscono la specie meglio adattata. A tali batteri sono anche da attribuire le fermentazioni malolattiche spontanee. Le specie appartenenti ai Lactobacillus sono alcune etero ed altre omo fermentanti e rivestono una minore importanza. I Pediococcus sono specie omofermentative. I batteri omofermentanti, producono quasi esclusivamente acido lattico e quindi sono da considerarsi i migliori agenti della fermentazione malolattica. Però essendo sensibili all’acidità risultano inadatti a svilupparsi nei vini in cui questa fermentazione è richiesta. I principali fattori che ostacolano la fermentazione malolattica sono costituiti dalla presenza di quantità elevate di SO2 nel vino, di alcol etilico e dai pH inferiori a 3,2. Pertanto è arduo regolare tale fermentazione, che raramente conduce alla demolizione completa dell’acido malico contenuto nel vino. Nei vini rossi la fermentazione malolattica è indicata in quelli che risultano tannici e acidi. Difatti l’acidità eccessiva rinforza l’asprezza data dai tannini. Tali tipi di vini si avvantaggiano di questa fermentazione, divenendo il sapore più fine, morbido ed armonico, anche se il colore perde un po’ della sua vivacità. La maggiore difficoltà consiste nell’avvio della fermentazione malolattica quando il vino risulta molto acido. Nei vini bianchi i pareri sulla fermentazione malolattica non sono univoci, perché da taluni è ritenuta valida al fine di rendere il vino più stabile, mentre altri ritengono che così si aumenti l’instabilità del vino, e quindi sono del parere che sia più corretto impedirla. In definitiva può affermarsi, che essa fornisce buoni risultati quando si trattano, in particolare, i vini rossi eccessivamente acidi per renderli più serbevoli. Con la fermentazione malolattica avendosi il passaggio da un acido forte ad uno debole, si ottiene un innalzamento del pH di 0,1-0,2 unità. Pertanto risulta un abbassamento dell’acidità e un aumento dell’instabilità della bevanda, a causa delle maggiori precipitazioni tartariche dovute all’aumento degli ioni di tartrato, di bitartrato e degli intorbidamenti conseguenti. Inoltre i batteri malolattici eterofermentativi sono responsabili di trasformare l’acido citrico determinando la comparsa di acido acetico, decompongono l’acido tartarico e degradano la glicerina. Ed è per questo motivo che l’aggiunta di acido citrico viene sempre fatta al momento immediatamente precedente l’imbottigliamento e mai durante l’ammostamento e l’elaborazione dei vini, perchè la presenza dei batteri lattici può aumentare l’acidità volatile mediante la degradazione dell’acido citrico.

Castroreale, Marcello. Manuale di enologia: Marcello Castroreale (Italian Edition)

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