Qual è il senso dell’innovazione in viticoltura?
Certamente, innovare non significa “rompere” con il passato per ripartire da zero: l’innovazione non può identificarsi con la sostituzione dei vitigni nativi per far posto a quelli internazionali, in virtù dei mutevoli gusti commerciali. Piuttosto, secondo noi, innovare vuol dire realizzare processi di “adattamento” situazionale e migliorativo, spendere in ricerca e sperimentazione, fondare ogni prodotto su un progetto, senza perdere di vista l’obiettivo del mantenimento della propria identità vitivinicola e, soprattutto, senza disperdere il proprio patrimonio culturale. L’innovazione si costruisce inevitabilmente su una linea di continuità con la tradizione, con lungimiranza, oculatezza e senza esasperazione, soprattutto in quei territori così fragili e così vocati alla viticoltura indigena da moltissimi anni, come nell’Italia meridionale.
Diverse Regioni (la Campania fra queste) hanno condotto e conducono studi ampelografici più o meno approfonditi nell’ambito di progetti finalizzati alla valorizzazione dei vitigni autoctoni e al recupero di alcune varietà di cui esistono, in alcune situazioni, ceppi centenari e poche piante. Insito in questa operazione, che non può assumere una dimensione squisitamente commerciale, c’è il pericolo di censire, recuperare, esaltare vitigni di cui si è persa traccia da lungo tempo o di cui si riscontra una presenza scarsamente significativa nei territori di pertinenza.
Correlato a questa azione di taglio culturale e tecnico-scientifico, vi è il problema della comunicazione. Si rende necessaria infatti una comunicazione “funzionale” alla sensibilizzazione del consumatore, sempre più attento ed esigente rispetto alla qualità del prodotto, alla sua dimensione storica e territoriale e al profilo dell’Azienda che lo ha elaborato. Contenuti di tale comunicazione sono senz’altro i vitigni storici e le loro caratteristiche, l’origine e l’evoluzione sul territorio, gli elementi che li identificano come parte integrante della storia e della geografia di un territorio.
Si può ben affermare infatti che l’originalità della viticoltura italiana si realizza attraverso una serie praticamente infinita di territori la cui tipicità e identità (genius loci) conferisce riconoscibilità ai vini che vi si ottengono. Questa affermazione però solleva contemporaneamente due ordini di problemi: il primo collegato alla assoluta necessità di serie ed efficaci politiche di difesa delle produzioni tipiche dalle contraffazioni nonché di contrasto dall’utilizzo illecito di denominazioni. Il secondo ragionamento è legato alla necessità (obbligo) della difesa e tutela di questi innumerevoli micro-terroir regionali italiani, pena subire la competizione di sistemi vitivinicoli economicamente e commercialmente più aggressivi, basati prevalentemente su politiche di dumping economico.
Tali improrogabili necessità sono suffragate dall’evidente coesistenza a livello internazionale di due viticulture, anche senza contraddizione palese, ma che si riferiscono a criteri etici, tecnici ed economici anche sostanzialmente differenti tra loro, riassunte per brevità nella tabella che segue.
territori di origine | vitigni | sistemi colturali | consumo | |
Vini di terroir | ambienti viticoli particolarmente vocati, di piccole dimensioni e limitati | nativi (autoctoni) | gestione prevalentemente manuale e specializzata (artigianale) | limitato |
Vini di territorio | ambienti viticoli di ampie dimensioni | internazionali | gestione meccanizzata ad alto know-how tecnologico | frequente, quotidiano |
Il vantaggio competitivo e comunicativo della viticoltura risiede proprio nel forte collegamento con la straordinaria variabilità dei territori regionali italiani da una parte e con l’enorme disponibilità di vitigni nativi di cui è ricca la piattaforma ampelografica italiana (ben 377, contro 204 della Francia).
Appare evidente che gli sforzi comunicativi e di marketing devono essere assolutamente concentrati nel tentativo di attrarre il consumatore moderno, sempre più attento all’origine del prodotto, alle tradizioni enogastronomiche, alla salubrità del cibo, all’ecosostenibilità dei processi produttivi.
Il paesaggio viticolo quindi non più e non solo come difesa arcadica ma spesso anacronostica dei cicli della natura e dell’uomo, ma come mezzo per trasmettere e valorizzare i segni della storia, della tradizione e della cultura, umana ed enologica, unitamente alla forte carica emozionale legata alla scenografia del paesaggio (marketing del territorio): in questo sforzo risiede la vera innovazione.