Tradizionalmente l’affinamento di vini bianchi in fustame di legno di piccole dimensioni (in genere barriques) era in uso nella regione di Borgogna, secondo una metodica la cui originalità si fonda sul ruolo strategico svolto dal lievito. In effetti, mentre il vino rosso viene trasferito nella botte dopo lo svolgimento della fermentazione alcolica (FA), talvolta anche della fermentazione malolattica (FML), il vino bianco deve fermentare nel contenitore di legno e deve permanere sulle proprie fecce, senza travaso, per un certo periodo di tempo: tale protocollo implica una serie di fondamentali interazioni di carattere chimico e biologico a carico dei costituenti delle fecce, del legname e del vino, per molto e troppo tempo sottovalutati ma al contrario di straordinaria importanza.
E’ stato dimostrato (Bosso et al., 2000; Vaccaro et al., 2009) che il volume totale delle fecce fini che rimangono alla fine della fermentazione alcolica, al netto delle operazioni di travaso necessarie alla separazione della massa dalle parti solide, rappresenta il 2-4% del vino di partenza e presenta una composizione come da Tabella 1.
Tabella 1. Composizione media delle lies fines (Bosso et al., 2000).
costituente | % |
sali tartarici | da 25 a 35% |
microrganismi
(lieviti) |
da 35 a 45% |
residui organici | da 30 a 40% |
La parete rappresenta dal 15 al 25% del peso secco della cellula e risulta essere un rivestimento rigido, anche se elastico, di natura essenzialmente polisaccaridica. Per questi motivi, non può essere considerata come una sorta di struttura semi-rigida inerte, ma al contrario si tratta di un organo dinamico multifunzione, che si evolve nel corso della vita della cellula in dipendenza delle condizioni ambientali.
Oltre ad avere funzioni di protezione, la parete, grazie alla sua organizzazione macromolecolare, conferisce alla cellula la propria forma; inoltre è il sito in cui si trovano alcune molecole che determinano processi cellulari, quali l’unione cellulare la flocculazione, il fattore killer ((Stratford, 1994).
La parete cellulare dei lieviti (S. cerevisiae) è formata fondamentalmente da due strati, dei quali uno esterno composto da mannoproteine associato ad una matrice di β-1,3 glucano amorfo ed uno interno di β-1,3 glucano fibroso, associato a piccole quantità di chitina, orientativamente secondo proporzioni riportate in Tabella 2.
Tabella 1. Composizione media della parete cellulare (Stratford, 1994).
costituente | % sul peso secco |
glucani | circa 60% |
mannoproteine | da 25 a 50% |
chitina | 1-2% |
La rigidità e la forma della parete della parete dipendono dalla struttura interna della componente di β-1,3 glucano fibroso, mentre la caratteristica di elasticità si deve allo strato fibroso. La struttura delle mannoproteine determina la porosità della parete alle micromolecole (Stratford, 1994) di peso molecolare inferiore a 4500Da e la sua impermeabilità alle macromolecole.
La composizione della parete è fortemente influenzata dalle condizioni nutritive oltre che dall’età della cellula: Il tenore in glucani della parte aumenta con la quota di zucchero del mezzo di coltura e determinate carenze comportano anche un aumento della proporzione di glucani rispetto alle mannoproteine. Inoltre, le pareti delle cellule vecchie risultano più ricche in glucani e chitina e meno ricche in mannoproteine di quelle giovani: per questo motivo sono più resistenti agli agenti fisici ed enzimatici utilizzati per degradarle.
L’interesse enologico di questi costituenti cellulari dipende dal fatto che alcune molecole, soprattutto mannoproteine, vengono parzialmente liberate nel corso della fermentazione alcolica (FA) e particolarmente durante lo stazionamento sulle fecce, favorite da specifici parametri quali durata del contatto, temperatura e movimentazione della biomassa del lievito, tutte condizioni che sono possibili durante l’affinamento in fustame di legno. Infatti, è stato dimostrato che un vino fermentato e affinato sulle fecce in barrique , con frequenti agitazioni (batonnage) delle sospensioni presenta un tasso di polisaccaridi totali superiore anche del 25-30% rispetto al medesimo vino fermentato sulle fecce nel serbatoio (Llauberes et al., 1987), con importanti ricadute a carico delle caratteristiche chimico-fisiche, ma soprattutto sensoriali dei vini (Feuillat et al., 1989; Ledoux et al., 1992) grazie alla loro capacità di sottrarre i tioli maleodoranti dal mezzo (Dubourdieu, 1995) e di consumare l’ossigeno con cui il vino viene eventualmente (o accidentalmente) viene a contatto per effetto degli acidi grassi insaturi liberati.