Manuale di Enologia

La Vite e il vino nella Storia

Il vino si ottiene dopo la fermentazione alcolica del mosto o liquido zuccherino ottenuto dalla spremitura dell’uva o del grappolo della vite, che botanicamente è una infruttescenza, composta da raspo ed acini contenenti dei semi detti vinaccioli. La vite è una specie che vive e cresce nelle zone temperate dei due emisferi, comprese tra 50 ° a 30 ° di latitudine Nord e 30 ° 40 ° di latitudine Sud. Da notizie provenienti dalla paleontologia, si può affermare che la vite è più antica dell’uomo. Le prime tracce fossili risalgono all’era terziaria e i ritrovamenti rinvengono la vite insieme ai Cissus, i quali verosimilmente rappresentano i progenitori filogenetici della stessa. In Europa il primo rinvenimento è da localizzare nel Dipartimento della Marna presso Sezanne, tant’è che la vite ritrovata è stata denominata ‘Vitis Sezannensis’, le cui caratteristiche sono vicine a quelle della Vitis rotundifolia. L’origine della viticoltura si fa risalire al Mesolitico, circa 9000 anni a.C., nella zona della Mezzaluna fertile, compresa tra l’Egitto e la Mesopotamia. L’esistenza in Italia di viti fossili si fanno risalire all’Eocene medio dell’era terziaria (circa 52 milioni di anni fa). La vite e il vino costituiscono pure l’oggetto più decantato dalla letteratura, dalla scultura e dalle arti in genere, presso tutti i popoli, civiltà e in ogni tempo. Nella Bibbia ritroviamo citati più volte sia la vite e sia il vino, quest’ultimo anche per le sue proprietà curative. In Palestina l’uva veniva raccolta in agosto o in settembre e la vendemmia era conclusa quando si celebrava la festa delle capanne; l’uva raccolta veniva messa in vasche dove avveniva la pigiatura con i piedi. Questo tipo di pigiatura, molto soffice, non estraeva molto acido tannico dai grappoli d’uva e quindi permetteva di ottenere un vino più gradevole. Il primo mosto veniva vinificato separatamente per ottenere vini pregiati. Nella necropoli di Menfi si trovano delle sculture, che rappresentano il momento della vendemmia. Inoltre rappresentazioni simili si sono rinvenute nella prima Piramide di Giza. Nei monumenti di Tebe e nei papiri egiziani, che datano a circa 4000 anni a.C., vi sono delle riproduzioni riguardanti la coltura della vite. Durante il periodo degli Egizi il vino era una bevanda riservata a pochi, mentre la birra era la bevanda più diffusa e consumata. E data la sua rarità essi riservarono al vino le più attente cure, conservandolo in anfore di terracotta, sigillate accuratamente con tappi di argilla su cui si spalmava della resina per impedirne l’ossidazione. Sui sigilli venivano impressi i dati indicanti: il momento di produzione, la qualità, il vigneto di origine e, talvolta, il nome dell’imbottigliatore. Gli Egizi, pur apprezzando il vino in sé, di rado lo bevevano puro, più spesso usavano dolcificarlo col miele diluendolo con l’acqua, e altre volte vi infondevano delle sostanze aromatiche. Le vigne migliori erano situate sul Delta del Nilo, dove venivano prodotti sia vini bianchi, che rossi, secchi e dolci. I Greci curarono i vigneti, che costituivano una fonte di ricchezza. In genere disponevano le vigne in terrazze lungo i fianchi delle colline, con dispendio di mano d’opera; la vendemmia avveniva in settembre e man mano che raccoglievano l’uva la disponevano su di un piano inclinato in legno o in muratura, da cui da un apposito foro defluiva il primo succo, che veniva messo a parte poiché forniva il vino migliore, il resto veniva estratto con la torchiatura impiegando una pressa. Dalle vinacce trattate con l’acqua bollente, e successivamente pressate, ricavavano un vino scadente, che veniva consumato dai ceti più poveri. Gli Etruschi producevano dei vini che esportavano anche in Provenza, e certamente hanno contribuito ad espandere la coltura della vite e la vinificazione nell’Italia centro-settentrionale. Numerose anfore etrusche, ritrovate a Marsiglia, attestano tale attività. Nell’Italia settentrionale, negli Euganei, la civiltà Atestina, che per circa 1000 anni, prima della occupazione di Roma, dominò lo scenario della zona, ebbe notevoli influssi sulla coltivazione della vite e sulla produzione del vino anche al di là e al di qua delle Alpi. Numerose leggende narrano della vite. Quella di Bacco che si innamora perdutamente di Ampelo è la più conosciuta ed è la storia di un amore tragico perché Ate, la Dea del male fa morire Ampelo, che però su supplica di Bacco è fatto rivivere dalla Parca nella vite. Da Diodoro Siculo si apprende che Icaro, ospite di Bacco, gli rubò il segreto di fare il vino, portandolo in Sicilia; qui questo gesto fu mal ricompensato dai contadini, poiché essi scambiarono l’ebbrezza prodotta dalla bevanda per avvelenamento e si scagliarono contro Icaro uccidendolo. La vinificazione in Sicilia risale a circa 2000 anni a.C., grazie ai contatti commerciali che si intrattenevano con la civiltà Minoica ed Egeo-Micenea. Una leggenda araba attribuisce ad Adamo la piantagione della vite, credendo alcuni che essa sia da identificarsi nell’albero del bene e del male posto da Dio nell’Eden. I Romani fecero del vino la loro bevanda prediletta e alla smoderatezza con la quale la consumavano è da attribuire in parte il decadimento dell’Impero di Roma. Essi prodigarono notevoli cure sia alla coltivazione della vite che alla elaborazione dei vini, nutrivano altresì un sentimento di gelosia per le conoscenze acquisite nel campo, e non vollero far conoscere i loro segreti alle popolazioni barbariche. L’editto emesso nel 92 d.C., dopo una carestia di grano, dall’Imperatore Domiziano con il quale si ordinava la distruzione di tutti i vigneti della Gallia e di altre provincie, aveva lo scopo di impedire che i barbari conoscessero la vite. I Romani usavano invecchiare il vino nelle “Apoteche” ed eseguivano la “diffusio”, ovvero il travaso in primavera. Gli “Haustores” eseguivano una attenta degustazione dei vini con regole particolari. Inoltre immettevano nel vino come antisettici delle sostanze aromatiche e resine (pece, resina, mirra). Filtravano i vini attraverso la sabbia o la feccia proveniente da buoni vini, poste in cestelli di vimini foderati con tela di lino. Le feste in onore di Bacco o Baccanali, che si svolgevano nell’Impero, erano state importate dall’Egitto prima in Grecia e poi in Italia. Esse venivano celebrate tre volte all’anno e inizialmente erano ammesse solo le donne, successivamente però anche agli uomini fu permesso di parteciparvi e da quel momento degenerarono in autentiche orgie, sino a quando nel 186 a.C. il Senato di Roma fu costretto a proibirle con una dura repressione. Circa settemila persone, dopo poche settimane dalla proibizione del Senato, furono rinchiuse nelle carceri e chiunque fu trovato colpevole di aver partecipato alle feste venne lasciato a vita in carcere, e quelli che avevano commesso gravi reati condannati a morte. Il vino prodotto era spesso un vino robusto e non gradevole e lo si consumava allungandolo con l’acqua e fra i vini speciali si produceva il “defructum”, il “passum”, il “bios”, con l’impiego del mosto cotto o di uve appassite al sole. Le conoscenze in fatto di conservazione dei vini e dei materiali impiegati a tale scopo e nonostante l’utilizzo dello zolfo, presso i Romani erano scarse tanto è vero che gran parte del vino prodotto si trasformava in aceto. Infatti il piombo e la cera, che usavano per tappare i recipienti, molto spesso favorivano la penetrazione dell’aria, che poi causava il deperimento del vino. Il turacciolo venne impiegato solo negli ultimi anni dell’Impero. Un’ulteriore conferma di ciò è data dal fatto che la bevanda comune per i soldati romani era costituita dalla cosiddetta“ posca” o “acetum”: un leggero vinello aspro, che veniva bevuto allungandolo con l’acqua. Tale fu, probabilmente, la bevanda offerta a Gesù Cristo drogata con mirra o altro, per alleviargli le sofferenze durante la crocifissione. Dopo l’epoca romana si fecero pochi progressi nel settore eno-viticolo. Infatti i Barbari nonostante la predilezione di bere vino, non curarono la coltura della vite e nell’epoca medioevale solo gli ordini dei frati Benedettini, Francescani e Domenicani, si curarono di apportare nuove conoscenze nell’arte di coltivare la vite e nella elaborazione dei vini. Nel 1303 compaiono delle opere valide come quella di Pier de’ Crescenzi, la quale costituisce a tutt’oggi un capolavoro della letteratura agricola, paragonabile a quella di Columella e di Virgilio. Dopo Pier de’ Crescenzi troviamo, nella letteratura eno-viticola, un vuoto sino agli autori del ’600 e del ’700. Sono da ricordare pure le opere del Gallo (1569), del Soderini (1580), sino a giungere, nel XVIII secolo, a quella del celebre scrittore Filippo Re da Reggio Emilia, il quale scrisse gli “Elementi di Agricoltura”, una delle opere tutt’ora consultate. Una innovazione enologica di tutto rilievo si deve nel 1668 al frate Benedettino Dom Pietro Pérignon, per l’elaborazione del famoso vino spumante della Champagne. Dom Pérignon in qualità di mastro cantiniere nella Abbazia di Hautvillers, riuscì a controllare la seconda fermentazione, che avveniva allorché nuovo zucchero veniva immesso nel vino, rallentandola o accelerandola a piacere. I sistemi da lui ideati sono sino ad oggi seguiti per realizzare il vino spumante. In sintesi essi consistono in un preliminare assaggio del vino al fine di avvertire il suo eventuale residuo zuccherino, a cui segue l’aggiunta di circa 25 g. di zucchero per litro e dei lieviti selezionati. Dom Pérignon riuscì così bene ad elaborare i vini spumanti, che gli stessi furono denominati Vin de Pérignon. In Italia, dopo la costituzione del Regno d’Italia, andò nascendo un certo interesse verso l’agricoltura e in particolare sulla viticoltura ed enologia, la cui causa è da ricercarsi nell’importanza economica e commerciale rivestita dai prodotti viticolo-enologici, e nella devastazione dei vigneti da parte della fillossera, insetto di provenienza americana. Tale sconvolgimento produsse un cambiamento nella produzione dei vini, sino a giungere ad un decadimento qualitativo e all’elaborazione dei cosiddetti vini artificiali, prodotti con dosate miscele zuccherine, e quindi ricorrendo allo “zuccheraggio” o “chaptalizzation”. Fu questo allarme che suscitò negli studiosi e negli uomini politici del tempo, un rinnovato interesse in special modo nei confronti dell’enologia e proteso a sconfiggere la temibile fillossera. Quindi nacquero apposite commissioni governative e le Regie Scuole di Viticoltura ed Enologia, con lo scopo di istruire gli agricoltori sui mezzi di lotta, che da lì a presto vennero trovati contro la fillossera, e cioè dell’innesto della vite europea su quella americana, abbinando così le rispettive resistenze all’insetto opposte dalle radici della vite americana e dalla parte aerea della vite europea. Queste scuole datano ad iniziare dall’anno 1873 e costituiscono anche l’origine degli odierni e gloriosi Istituti Tecnici Agrari Statali. Oltre alle scuole furono istituite le Cantine Sperimentali di Noto, Velletri, Riposto, Milazzo, Barletta, ed anche le cattedre ambulanti di agricoltura, al fine di elevare la conoscenza dell’enologia e della viticoltura degli agricoltori.

Castroreale, Marcello. Manuale di enologia: Marcello Castroreale (Italian Edition)

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